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Daria e la solitudine della Russia esclusa per doping

Niente medaglie, un nono posto. Sulla pedana del salto in lungo è circondata da una totale indifferenza: né fischi né applausi. Eppure Daria Klishina entrerà nella storia delle Olimpiadi. Perché a Rio era l'unica russa dell'atletica, la sola a salvarsi dalla squalifica di un'intera nazionale in quella che è la disciplina madre dei Giochi. E così i suoi capelli biondi, la sua tuta che diventa una rarità allo stadio di Engenhao, diventano una notizia al di là dei 6 metri e dei 63 centimetri saltati.

Ma perché solo lei? Perché un'inchiesta giornalistica dell'Ard, una televisione tedesca, alla fine del 2014, apre uno scenario sorprendente e drammatico: un doping di Stato organizzato a Mosca fatto di ricatti agli atleti dopati, di controlli nascosti, di laboratori clandestini, di tecnici specialisti nell'uso di prodotti proibiti. La WADA, l'agenzia mondiale antidoping, conferma queste accuse dopo alcuni mesi grazie a un rapporto di una commissione indipendente. La IAAF, la federazione internazionale dell'atletica, squalifica tutta la Russia nel novembre del 2015 e poi conferma la sua decisione proprio in vista di Rio. E' una decisione epocale, storica, incredibile. In molti la appoggiano, altri si chiedono se non sia un modo del sistema sportivo per lavarsi la coscienza di fronte a un problema che non può esistere soltanto dentro i confini russi. Elena Isinbayeva, la vittima più famosa della decisione, la primatista del mondo del salto con l'asta, dice: "Dio vi giudicherà per ciò che avete fatto a me e alla Russia".

Le prove di un sistema di doping organizzato dallo Stato sono schiaccianti. Ma non c'è la prova di una compromissione di tutti gli atleti: questo dicono le altre federazioni internazionali che autorizzano la partecipazione russa. C'è solo qualche divieto per atleti dal passato dopato. E la Klishina? Lei gareggia dopo un lungo braccio di ferro legale: si allena negli Stati Uniti, è lontana dal "sistema". Chissà che cosa pensa quando entra nello stadio, sola, solissima, e comincia a scaldarsi... Anche lei finisce, suo malgrado, come uno dei simboli dell'Olimpiade.